La macchia del Destino

«Ehi, ciao Lu!» Urlo forte mentre vedo la mia amica che mi aspetta dall’altro lato della strada e si sbraccia per farsi notare. Provo un moto di simpatia e non so perché mi commuovo. Da quando sono incinta, e oramai lo sono da otto mesi e mezzo, mi sento fragile e incredibilmente sensibile. Mio marito dice che se prima ero portata per il pianto, adesso mi ci sono proprio votata.

È un uomo adorabile e pieno di risorse, mio marito: sa come sdrammatizzare ogni mio dramma interiore. A volte mi arrabbio per questo, perché è snervante avere a fianco una persona che ti capisce quasi meglio di quanto ti capisca tu stessa.

Mi avvicino alle strisce pedonali e vedo Lucia che fa lo stesso dall’altro lato. Sono più vicina perciò arrivo prima di lei e in quell’istante scatta il verde per i pedoni. Non vedo l’ora di riabbracciarla. Sono anni che non ci incontriamo. Lei ha già tre figli e vive nella periferia milanese. In fondo non è lontana da Monza. Eppure non riusciamo mai a vederci.

Le sorrido mentre attraverso lentamente. Nell’ultimo mese mi sono molto appesantita e ieri il ginecologo mi ha detto che Lorenzo, il mio bambino, è già quasi tre chili. Non oso pensare al parto perché nell’istante stesso in cui mi viene in mente mi tremano le gambe.

Anche Lucia è felice di rivedermi. Ha un viso così gioioso! Di punto in bianco però, cambia espressione e leggo nei suoi occhi il terrore. Si porta le mani alla bocca mentre guarda a sinistra. Non capisco. Vedo con la coda dell’occhio una macchia scura che si avvicina. Mi volto: un SUV nero mi prende in pieno.

O mio Dio!

Un dolore lancinante mi attraversa il corpo intero e si ferma alla testa. Poi il silenzio. Il buio. L’abisso.

“Chiamate un ambulanza!”

“Tesoro, rispondimi ti prego…”

“E’ incinta, fate presto!”

“E’ scappato! Quello del Suv non si è fermato…”

“Lasciatele spazio… No, non muovetela…”

“Sono qui Dany, stai tranquilla… Ma è svenuta e… e perde sangue, tanto sangue!”

“Avete preso la targa?”

“Lei è un’amica? Può avvisare i parenti?”

“C’è sofferenza fetale…”

Oddio no! No, vi prego. Salvate mio figlio. Ascoltatemi! Perché nessuno mi ascolta? Mi sentite? Salvate Lorenzo vi prego!

“Dobbiamo tirarlo fuori al più presto. Fate preparare la sala operatoria.”

“Ma dottore, oltre ad una lesione alla colonna, la donna ha un trauma cranico, potrebbe morire.”

Non importa, non pensate a me! Ascoltatemi, vi prego, salvate il mio bambino. L’abbiamo desiderato così a lungo, per così tanti anni…

“Sig. Brambilla mi deve dare il consenso… Sì, sua moglie potrebbe non farcela…”

“Amore, amore mio, sono qui Dany, non mi lasciare, hai capito? Ho bisogno di te! Io e Lorenzo abbiamo bisogno di te!”

“Sig. Brambilla… il consenso… …dobbiamo agire in fretta…”

Sento Carlo scoppiare in singhiozzi. Vorrei consolarlo.

Signore aiutami ad aprire gli occhi per dargli coraggio! Non ci riesco, Carlo! Perdonami, amore, scusami! Per favore non cedere adesso. Devi essere forte. Dai il consenso e fai nascere nostro figlio. Ti prego Carlo…

“Dove devo firmare?”

Sì amore, sì, così!

Ora però devo riposare. Mi sento stanca, tanto stanca. Lasciatemi dormire!

Un vagito! Lo odo in lontananza, ma io non mi sento, non sento il mio corpo, sono stremata. Voglio solo riposare, dormire, dormire, dormire.

Mi sembra di volare. Sono leggera, leggera come una piuma. Fluttuo nel nulla, o forse nel tutto, non so. Non riesco ad aprire gli occhi, ma in realtà io vedo, e sento, e percepisco.

È tutto molto strano. Non comprendo cosa mi stia accadendo. D’altro canto non ha importanza. È come se stessi al di fuori del mio corpo. Sto benissimo! Mi sento così piena, così vera.

Mi vedo sdraiata in un letto d’ospedale. Ho gli occhi chiusi, sono immobile e piena di tubi. Tutto intorno a me fa “bip – bip” per il collegamento a qualche macchinario. Quindi? Sono viva?

Colgo una profonda consapevolezza dentro di me e so, sono sicura, che il mio posto adesso sia qui, in questa dimensione. E qui voglio stare, così, in uno stato di benessere assoluto. Per un po’. Magari per tanto. Forse per sempre.

No. Per sempre no. Vorrei conoscere Lorenzo…

Mio figlio! Ecco: questo è il motivo che mi spinge a lottare contro lo stato di totale bene in cui mi trovo. È il motivo che mi porta a guardare nella stanza anziché rimanere concentrata nella luce, nello splendore, nella meraviglia.

Vedo Carlo, mio marito: è seduto su una sedia accanto al mio letto. Mi tiene la mano e se la passa sulla guancia umida. Ha pianto. Quanto lo amo! Eppure è curioso. Ma sento di amarlo in un modo a me sconosciuto. Avverto il distacco. Non ho più alcuna paura, alcuna incertezza, alcuna preoccupazione. Qui, nel piano energetico in cui mi trovo, è tutto chiaro. Non vi sono dubbi: noi due ci apparteniamo, in questa vita come nell’eternità.

Lui però questo non lo sa e sta vivendo l’incertezza, l’incubo umano della morte e della separazione dalla persona amata.

Dov’è il mio Lorenzo? Non vedo culle. Dove sei bambino mio? So che è nato. Lo so. Sono certa di questo come sono certa che stia bene. Tuttavia vorrei conoscerlo, vedere almeno una volta il faccino di quel puntino che già amavo con tutto il cuore osservandolo nell’ecografie!

Ci sono dei momenti di totale blackout durante i quali non so proprio cosa mi succeda o dove io vada. Adesso però vedo Carlo che tiene in braccio Lorenzo. O mio Dio! E’ piccolissimo. Se fossi sveglia sarei sicuramente in un lago di lacrime. È così emozionante persino in questa dimensione, figuriamoci nella vita.

Carlo si volta verso di me e si avvicina al mio capezzale. Chissà se riesce a sentirmi! Parla con estrema dolcezza e mi mostra il piccolo. Sta dormendo. Sembra un angelo. Un angelo un po’ rugoso. Il viso è paffuto! Assomiglia tantissimo a mio marito e ne sono felice. Gli ho sempre detto che è un bell’uomo e che avrei voluto che Lory prendesse i suoi tratti e i suoi colori. Ovviamente lui non era d’accordo!

È notte. La stanza è buia. C’è solo una lucina e i soliti “bip” delle apparecchiature.

Credo di aver visto mia madre passeggiare nella stanza. Aveva una camicia da notte lunga e un copri spalle beige. Era a piedi nudi… e bella, come sempre. Forse sono morta dato che lei lo è! I suoni intermittenti delle macchine mi dicono però il contrario.

Mamma! Eccola lì, di nuovo. Mi tende le mani come per invitarmi a seguirla. Oh, mamma! Vorrei tanto abbracciarti… Ma non posso! Hai visto come è bello tuo nipote? E cosa ne pensi di mio marito Carlo? Tu non hai conosciuto nemmeno lui. Non è un uomo stupendo? Mia madre abbassa le braccia. Mi guarda profondamente negli occhi. Non sorride. Si volta e se ne va.

Biiiiiiiiiiiiiiiiiiiiip…

Ha una crisi, dottore, …venga presto…

Defibrillatore… caricate a 200… preparate… libera!

Ancora, riproviamo: 250… caricate… libera!

Carlo, amore, sei uno straccio! Vai a casa a riposare un po’, ti prego!

Intorno al mio capezzale, dove io sono sempre immobile e incosciente, vedo mio fratello, con gli occhi rossi, che abbraccia nostra sorella minore e la consola; mio padre affranto e triste, invecchiato di dieci anni tutti in una volta; i miei suoceri e il fratello di mio marito, tutti preoccupati. Ci sono pure alcune mie amiche dietro al vetro della camera: stanno piangendo e si confortano fra loro.

In quell’istante entra mia cognata con in braccio il mio Lorenzo. Non riesco a vederlo come vorrei perché si tiene i pugnetti vicino alla faccia. Ha la tutina rossa che sognavo di fargli indossare dopo la nascita. Lo passa a Carlo che si alza dalla sedia a fianco del mio letto. È un po’ impacciato ma fa del suo meglio e alla fine lo culla e si mette così vicino a me che vedo gli occhi di Lorenzo semi aperti. E’ un emozione fortissima. Quelle due fessure mi bucano il cuore.

Quanto tempo perdiamo a desiderare nella vita ciò che non abbiamo senza sapere cosa veramente sia bene desiderare. Io ero convinta che mi sarei sposata presto e che avrei avuto tanti bambini. Questo era ciò che volevo più di qualsiasi altra cosa. Eppure non è andata così. Il Signore mi ha fatto conoscere solo a trentasei anni la persona giusta, ed ero molto riconoscente perché finalmente me l’aveva fatta incontrare! Lo stesso valeva per Carlo. Tuttavia, poco dopo, entrambi abbiamo cominciato a non essere più così riconoscenti perché il figlio che tanto bramavamo, non arrivava. In poco tempo siamo entrati in un loop infinito fatto di sbalzi umorali e morali, di visite, di esami e di spese incredibili… e per cosa? Per inseguire una chimera che, volendo guardare, è più che altro ciò che la società si aspetta dalle coppie. Io e Carlo saremmo stati felici comunque, anche senza bambini. Avremmo fatto un altro percorso, con le sue bellezze e le sue difficoltà, ma avremmo comunque realizzato noi stessi.

Sono ovviamente al settimo cielo per l’arrivo di Lorenzo. Tuttavia, il Destino è ora intervenuto pesantemente! Perciò?

Chissà se sopravvivrò! Chissà se potrò fare la mamma! Chissà se il Destino mi ha incluso nel nuovo percorso o se questo riguarda solo mio marito e mio figlio! Chissà…

Adesso posso dire: quante cose ci siamo persi mentre stavamo affannosamente cercando un bambino!

A nostro discapito però posso anche dire che abbiamo cercato di imparare il più possibile l’uno dall’altra e dalla vita, rimanendo uniti in un universo complicato e pieno di dubbi e di situazioni caotiche. Siamo rimasti una carne sola come recita una delle letture che abbiamo scelto per celebrare il nostro matrimonio.

Lorenzo, il mio piccolo, sta piangendo! È in braccio a mia suocera che gli sta dando il biberon. Evidentemente non riesce ancora ad attaccarsi bene perché sembra annaspare muovendo la testolina da una parte all’altra. Ecco: finalmente ci è riuscito. Mi pare che abbia una suzione piuttosto ingorda ma lui è in pace. È ignaro di tutto, della vita come della morte. Ed è un bene visto che ha già avuto un assaggio anche della seconda con tutte le paure e i dolori che questa comporta.

È ancora notte perché è tutto buio tranne la consueta lucina. Si apre la porta della stanza ed entrano Carlo con un bicchiere di carta in mano e mia mamma. Ancora lei. Carlo si siede sulla poltroncina accanto al mio letto. Mia madre, che indossa la medesima mise dell’altra sera, resta in piedi, accanto all’entrata. Ancora non mi sorride. Mamma, cosa c’è? Parlami! Nuovamente stende le braccia verso di me, come a chiamarmi a sé. Sono attratta. Vorrei andare da lei, rifugiarmi fra le sue braccia, accoccolarmi sul suo petto e sentire tutto quell’amore incondizionato che mi sembra stia trasmettendo.

La malattia di mia madre è stata lunga. Ha combattuto per anni contro il tumore e nell’ultimo periodo il nostro rapporto si è ribaltato: lei era la bambina e io la mamma. Di quel periodo non ho rimpianti. Lei è stata per me un esempio, un’eroina stoica di fronte al calvario che il Karma le ha imposto, e che quindi ha imposto a tutti noi, e io so che ho dato tutta me stessa, seppur nella confusione in cui gli ultimi mesi di un malato terminale ti getta.

Mia madre adesso è con mia zia, sua sorella, anche lei morta giovanissima. Non so se è la stessa notte perché Carlo non c’è. Mi guardano profondamente. Intorno hanno un alone di luce stupenda; è ambrata tendente al giallo. Cos’è? È quella cosa che chiamano aura? Mi domando se l’aura esiste anche nel mondo dei morti. Nel frattempo mia zia mi sorride. Mia mamma stende invece il braccio destro e con la mano mi chiama. Come vorrei andare! Eppure qualcosa mi trattiene.

Lorenzo. Carlo. L’Amore. La Vita.

 

Biiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiip…

Dottore è in arresto!

Defibrillatore…, muovetevi!

La stiamo perdendo… Dottore, la stiamo perdendo!

 

Blocco la sedia a rotelle. Carlo mi passa Lorenzo che comincia a gorgheggiare, a fare le bollicine con la bocca e a sorridere. È meraviglioso. Tutto quello che ho sempre sognato è qui con me, in un metro per due.

Sono passati quattro mesi dall’incidente e ho molti vuoti di memoria, specialmente sul primo periodo. Ogni tanto ho come dei flash su mia madre che mi chiama dall’aldilà, a piedi nudi e con indosso la sua camicia da notte preferita. L’avrò davvero vista dal posto profondo e distante dove mi trovavo?

L’ultima crisi mi ha quasi stroncata. E invece sono più viva di prima. La carrozzina è le mie gambe. Nonostante l’handicap mi sento completa, ricca, felice. Sono così riconoscente a Dio! Il piccolo Lorenzo è fra le mie braccia e mio marito Carlo, sebbene preoccupato per il mio stato fisico e per ciò che dovremo affrontare, è ancora più forte, più maturo, più grintoso e pieno di Fede.

Ho un’altra possibilità! Il Signore me l’ha concessa e di riflesso l’ha concessa anche alle persone che mi stanno accanto. Certo non sarà un cammino in discesa, ma è ciò che devo vivere assieme alla mia famiglia.

La vita è sacra. La vita è scuola. La vita è gioco. Sì, è anche un gioco! Un gioco di causa ed effetto, di dare e avere, di bene e male, di scelte continue. La vita è un gioco intenso e solenne e come tale bisogna giocarla appieno. Non voglio più sprecare nemmeno un attimo ad avere paura, a temere il giudizio altrui o a fare quello che gli altri ritengono giusto. La consapevolezza che questa macchia nel mio destino mi ha donato è davvero profonda e ora so che è l’Amore l’unica Fonte da cui bere; l’Amore è l’unica Guida da seguire; l’Amore è l’unica Verità da cercare.

Con gli occhi dell’Amore puro, qualsiasi macchia oscura che il Destino ti presenta altro non è che una semplice macchia da lavare via.

© Marcella Manca in “Antologia dei Racconti vincitori del Premio Letterario Città di Melegnano 2016, Montedit Edizioni – 3° classificata